venerdì 20 settembre 2013

Ispirata ad un’esperienza vera; dedicata a Schiapparo, la spiaggia selvaggia sul Gargano

Oggi non voglio turbare il vostro stato d'animo con i miei post. Oggi vi propongo un delizioso racconto dedicato alla spiaggia dello Schiapparo, scritto da Rebecca Lena. Buona lettura!

 [sottofondo consigliato per la lettura]

"Per quanto tempo ho affondato il viso nella sabbia?

Mi rialzo lentamente e comincio a definire i contorni delle cose. Una striscia infinita davanti. Chiara e levigata dalla brezza. C’è anche il mare silenzioso a destra, a pochi passi; verso sinistra invece, un muro di dune e di tamerici costeggia il bordo di questa spiaggia. Deve essere abbandonata.

Si sente solo lo scoppiare delicato della schiuma sul ventre sabbioso. È un silenzio pacifico, ma turbolento. Pare sospeso, come se l’aria fosse densa come il vetro. Quando invece, al suo interno, infinite nubi di elettroni ronzano freneticamente intorno ai loro nuclei. Universi microscopici e sconfinati che tremano di tensione, o di paura, per una nuova enorme deflagrazione.

Ma s’illudono. In questa spiaggia nulla si muove, se non lo vuole il Vento di terra.

Giacciono tronchi immensi, enormi bestie stremate dai miasmi della Controra; corpi scoloriti e mummificati dal sole; poi ci sono lavatrici incrostate, bottiglie di qualunque tipo, gomme di bicicletta, reti e scarpe. Tantissime scarpe aride e scompagnate.

Camminare è un continuo scavalcare questi resti solitari. Per quale motivo si trovano qui? Sono talmente tanti. Si direbbe quasi che là sotto, proprio negli abissi, una civiltà sottomarina si stia evolvendo velocemente.
    
Credo che sia il caso di correre. Non ho fretta, ma semplicemente desiderio. E poi con tutti questi relitti da saltare, con una corsa è molto più semplice. Comincio la mia marcia, un piede sul tronco, l’altro sulla tavola scolorita, poi di nuovo la sabbia rovente. Cumuli di conchiglie stridono, sghignazzando al mio passaggio.
Ogni tanto qualcosa d’improvviso sguscia via da sotto i miei piedi.

Lucertole.

Un tempo erano bestie notturne, gelate come albori lunari d’inverno; fino a quando una mattina, quasi per caso non conobbero il Sole.

Adesso, alzano lentamente il muso sottile e inebriato ogni qualvolta odano il Vento di terra, l’amato soffio bollente che da lontano inizia a bruciare le cime delle tamerici. Lo bramano esaltate, in attesa di esserne travolte.

C’è qualcosa nell’aria, sembra un ritmo che risuona insieme ai miei salti. Mi spinge a correre ancora più in fretta e in un attimo mi sembra quasi di planare.

Questi battiti densi mi percuotono la testa, aumentano. Pare un frullio ovattato d’ossa, sbriciolate e sfregate, dentro la mano chiusa di un gigante.

Ma aspetta.

C’è qualcosa che brilla laggiù, a sinistra, sulle radici di quella pianta. Sfolgora immobile, un bianco accecante, più chiaro di tutte queste bottiglie squagliate. Mi avvicino. Non posso ignorarlo. Le sue forme allungate, forse…

Sì, è proprio un osso.

Probabilmente di cane, una zampa.

Ma è cavo. Che strano, non ne avevo mai visti di così particolari: talmente candido, come se fosse stato lucidato.

La tentazione è forte e ne porto un’estremità vicino alla bocca.

Con un filo di respiro provo a farlo fischiare.

Eccolo: è acuto. Un gridolino che fa rabbrividire; fila via come fumo dal suo becco affusolato.

Ricomincio la mia corsa, stavolta il ritmo è più profondo, vibra nei miei salti e nel crepitio che ne provocano su questi oggetti naufraghi. Le cassette di polistirolo si fracassano. I rami bruciati si screpolano.
Planando nell’aria afosa, lo sento sconquassare le mie vene: fiumi in piena dentro cannucce sottili.
Mi vedo una bestia veloce che solleva nubi di polvere; e quell’ammasso antico oramai frantumato dal calpestio eterno del Tempo, si spande nell’aria, lasciando un velo luminoso proprio dietro il mio passo.
Con un flauto macabro in mano, ogni tanto lo faccio sibilare, a scandire tempi indefiniti su questo battito di ossa.

Forse sono proprio le mie che sfregano. Le mie costole che sbattono fra loro. E il fischio del flauto si aggrega contrastando quel suono; sembra quasi richiamare un segnale, un codice sonoro di una danza funebre.

Il ritmo pompa più sangue, così che la corsa acceleri. L’osso continua il suo grido; il mare, la spiaggia, le tamerici cominciano a fondersi in strisce omogenee, tale è la mia velocità che nulla più riesco a distinguere.

Le mie gambe non rispondono, sembrano avere una loro coscienza frenetica.

Sono una creatura inarrestabile.

Nastri veloci: d’azzurro, bianco, verde, scorrono intorno rapidi. Mi accolgono in un baratro di cui non si vede mai la fine. Forse ho paura. Vorrei fermarmi. Non è più una corsa, adesso mi pare di cadere.

Attraverso il vento caldo che mi plasma ogni parte del corpo. Cambia la mia forma. La pelle sembra ribollire. La caduta è inarrestabile, e io ne sono la vittima. L’insetto dentro le fauci molli e roventi. Precipito liberamente, i colori si fondono tra loro in un bianco latteo. Assoluto. Sento i profili appiattirsi, il corpo regredire e un odore nell’aria comincia a perforarmi le narici. Qualcosa si avvicina laggiù, anche se sono io che gli vado incontro. E questo è il suo odore, ne sono sicuro; pungente e legnoso, a tratti acido. Sempre più intenso, come la mia caduta. Urta sulla pelle levigata, quel fetore, quasi fosse solido. Entra dentro il corpo, scarnificandolo. Ormai ci sono quasi. Lo vedo definirsi, anche se le sue forme sono abbozzate e asimmetriche. Un ombra dai colori spenti. Eccolo.

Mi si para davanti, improvvisamente. Tutto si ferma. La spiaggia, il mare e le tamerici sono ancora intorno. 
Mondi silenziosi e immobili.

A pochi centimetri dal suo muso posso percepirne ogni particolare. Questo odore, lo conosco bene.

L’odore di un morto, arido sotto il sole.

Il delfino decomposto mi aleggia davanti, con lo sguardo disfatto, il muso storto e schiacciato. La sua carne cotta mi fissa. È qui per accogliermi. Il guardiano, dal sorriso pacifico. L’odore antico, diventa anche il mio.

Benvenuto straniero, sulla Spiaggia di nessuno".

Fonte:  http://rebeccalenastories.wordpress.com/

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